Il Ponte. Primo editoriale

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Il nostro programma è già tutto nel titolo e nell’emblema della copertina: un ponte crollato, e tra i due tronconi delle pile rimaste in piedi una trave lanciata attraverso, per permettere agli uomini che vanno al lavoro di ricominciare a passare.

In questo titolo e in questo emblema, non c’è soltanto il proposito di contribuire a ristabilire nel campo dello spirito, al disopra della voragine scavata dal fascismo, quella continuità tra il passato e l’avvenire che porterà l’Italia a riprendere la sua collaborazione al progresso del mondo; non c’è soltanto la ricerca di archi politici che aiutino la libertà individuale a ricongiungersi colla giustizia sociale, l’autonomia delle regioni coll’unità della nazione, la coscienza della patria italiana colla grande patria umana di cui tutti gli uomini sono cittadini. Ma c’è, sopra tutto, il proposito di contribuire a ricostruire l’unità morale dopo un periodo di profonda crisi consistente essenzialmente in una crisi di disgregazione delle coscienze, che ha portato a far considerare le attività spirituali, invece che come riflesso di un’unica ispirazione morale, come valori isolati e spesso contraddittori, in una scissione sempre più profonda tra l’intelletto e il sentimento, tra il dovere e l’utilità, tra il pensiero e l’azione tra le parole e i fatti. Noi pensiamo che bisogna d’ora in avanti lottare in tutti i campi per ricostruire l’unità e la sincerità morale dell’uomo, e ricominciare a sentire che tutte le manifestazioni dello spirito umano, anche quelle artistiche e scientifiche, anche – ed anzi sopra tutte – quelle politiche, non hanno valore se non sono illuminate dalla fiamma interna di una fede coerente ed intera. Nell’inaridimento delle coscienze, che sotto una lussureggiante retorica e sotto una ingegnosa dialettica nascondeva la più desolata incredulità in ogni regola eterna, la vita si era degradata a scettico materialismo o a cieco attivismo: isolato nel suo egoismo l’uomo era sceso a considerare gli altri uomini come cose al suo comando, create per essere sfruttate e per esser gettate via quando non servono più.

Noi siamo convinti che, per risalire da questo imbestialimento, si debba cominciare a ricostruire in tutti i campi la fede nell’uomo, questo senso operoso di fraterna solidarietà umana per cui ciascuno sente rispecchiata nella sua libertà e nella sua dignità la libertà e la dignità di tutti gli altri, e in mancanza della quale la vita diventa una lotta di brutali sfruttamenti, alla quale si può dare via via il nome di tirannia, di plutocrazia, di nazionalismo, di fascismo, di razzismo. Lungi da noi il proposito di tornare a confondere la morale colla politica, o la morale coll’arte, o la morale colla scienza; ma noi pensiamo che dove manca dal centro la vigile interezza della coscienza, il sapere diventa gretta erudizione, l’arte miserabile giuoco oratorio, e la politica stolto brigantaggio, condannato in anticipo, per la sua fondamentale incapacità a valutare le forze morali che a lungo andare sono sempre vittoriose, alla finale catastrofe. Al di sopra di ogni comodo e malinteso storicismo noi sentiamo che la vita dell’umanità è retta da fermi e chiari principi, superiori alla storia. Non è la storia che fa la fede, ma è la fede che fa la storia: e se le convinzioni morali contano solo in quanto servono ad impegnare la vita, a dirigere e a promuovere atti in coerenza con esse, gli atti contano solo in quanto sono espressione e testimonianza di convinzione morale sentita come regola di vita. Nella società, come nel mondo dello spirito, tutto è collegato. Il fascismo e il nazismo, con tutti i loro orrori, sono stati la espressione mostruosa di questo spengersi nelle coscienze della fede nell’uomo: di questo diffondersi di una concezione inumana dell’uomo e della società. Non dimentichiamo che accanto a diecine di milioni di combattenti caduti nella mischia, sterminate moltitudini di pacifiche ed inermi creature umane, vecchi donne e bambini, sono state scientificamente distrutte nei “campi della morte” da milioni di altri uomini che in tutti i paesi dell’Europa continentale hanno freddamente partecipato a questa metodica distruzione razionalizzata, o ne sono stati complici coscienti e consenzienti. Nessuna vittoria militare per quanto schiacciante, nessuna epurazione per quanto inesorabile potrà esser sufficiente a liberare il mondo da questa pestilenza, se prima non si rifaranno nelle coscienze le premesse morali, la cui mancanza ha consentito a tante persone, che vivono ancora in mezzo a noi, di associarsi senza ribellione a questi orrori, di adattarsi senza protesta a questa belluina concezione del mondo. Ora la resistenza europea, che da generoso sacrificio di pochi gruppi isolati è diventata in un ventennio guerra civile di popolo contro il fascismo e contro il nazismo, è stata ed è sopra tutto lotta contro questa concezione del mondo e contrapposizione ad essa di una diversa concezione: la sconfitta militare delle forze fasciste non è la conclusione, ma la premessa per la costruzione di una società libera, cioè liberata dalle innumerevoli e non sempre facilmente afferrabili forze contrarie a quella concezione dell’uomo che è la nostra.

Movendo da queste premesse, invitiamo a collaborare al PONTE tutti coloro che sentono, come noi sentiamo, che la sorte del mondo dipende da questa ricostruzione morale. La nostra non sarà una rivista di partito o di scuola; ma in tutti gli articoli che vi saranno pubblicati, qualunque ne sia l’argomento (politico od economico, storico o giuridico, filosofico o letterario), nelle stesse recensioni, nella stessa prosa narrativa, il PONTE cercherà, insieme colla serietà della competenza e colla chiarezza dell’espressione, la presenza vivificatrice di questa interezza morale, che potrà essere alla base della civiltà di domani solo se noi, con pazienza e con fede, sapremo in ogni campo lavorare per formarla: e vorremmo che in tutte le pagine del PONTE, qualunque sia la tendenza politica o artistica a cui esse si ispireranno, apparisse questo impegno fraterno di serietà e di sincerità, quella stessa passione intransigente, quella stessa angoscia, quella consapevolezza del valore della vita intesa come dovere di coerenza morale che ha guidato la lotta clandestina nell’interno della fortezza hitleriana, dove, anche in Italia, migliaia di uomini coerenti, e in prima linea uomini di pensiero, hanno testimoniato la verità delle loro idee coll’esser pronti a morire per esse, ed hanno rivendicato il valore della vita coll’esser pronti a sacrificarla.

Con questa speranza il PONTE inizia, superando per merito di un editore coraggioso difficoltà organizzative non lievi, le sue pubblicazioni. Chi si mette in cammino per le devastate campagne toscane incontra ad ogni passaggio di fiume o di torrente squadre di operai che lavorano a ricostruire arcate distrutte: e quel lavoro umano che ricomincia è l’unica nota consolante in quel paesaggio desolato. Anche noi vogliamo lavorare così: e se la nostra opera, per la sua modestia, sarà piuttosto quella di chi lavora a ricostruire l’arco semplice di un ponticello sopra un torrente, piuttosto che quella di chi inalza le arcate maestose di un ponte monumentale su un grande fiume, non per questo ci sarà meno cara la nostra fatica, se servirà a riaprire un varco che permetta il passaggio di qualche uomo verso l’avvenire. Invitiamo gli amici che provano questo stesso angoscioso bisogno di sentirsi operai, anche modesti, del lavoro che ricomincia, a portarci la loro pietra.

IL PONTE