L’ITALIA DOPO IL VOTO EUROPEO


ANCORA IN LINEA CON L’EUROPA TEDESCA E I POTERI TRANSNAZIONALI

 

figli-di-troikaLa recente tornata elettorale italiana per l’elezione dei rappresentanti al parlamento europeo, ha registrato un significativo consolidamento del blocco politico al cui centro c’è il Partito democratico – ma, piú precisamente, ha rafforzato il nuovo leader “piddino” e presidente del Consiglio, Matteo Renzi.

Con una partecipazione al voto piuttosto bassa, intorno al 58% degli aventi diritto, il Pd ha ottenuto il 40,8% dei voti (il 22% e qualcosa dei voti effettivi), pari a 11 milioni di votanti, divenendo con largo margine il primo partito italiano e, quel che piú importava al Pd, tenendo a notevole distanza il Movimento 5 Stelle, il quale pur registrando sempre un significativo 21,2% (circa l’11% dei voti effettivi), pari a oltre 5 milioni e mezzo di voti, ha un risultato inferiore a quello delle ultime elezioni politiche (2013) – il tutto anche se i sondaggi lo davano testa a testa con il Pd.

Ma il dato politico che deriva in qualche misura dal voto italiano – per quanto il successo di Renzi sia pompato oltre ogni ragionevolezza e dubbia imparzialità dai prezzolati media nostrani, e tale dato sia occultato – è un altro: si tratta dell’avallo conservativo e “rassicurante” alla continuità dei governi non eletti, prima Monti, poi Letta, infine Renzi, andato a Palazzo Chigi con un blitz di partito e di “palazzo”.

 

Se usciamo per un attimo dal cortile di provincia, in cui viene purtroppo rinchiusa, e da troppo tempo, la politica italiana, nonché il nostro paese nel suo complesso, e se si guarda con un minimo di salutare distacco all’Italia e all’Europa «comunitaria» e affini, alla luce della sostanza democratica e dei semplici indicatori microeconomici e sociali, è ineludibile registrare un vero e proprio disastro.

Disastro morale, innanzitutto, di questo «ircocervo» comunitario e di Stati, lontanissimi dall’aver assunto un minimo fondamento federale, e dunque cooperativo (in materia di politica economica, fiscale, monetaria, bancaria …), ove gli Stati sono ancora, e palesemente, concorrenti l’uno contro l’altro (ecco il mirabile risultato dell’aurea «libera concorrenza» e del «mercato competitivo senza Stato» …). Disastro economico e sociale, considerato il crescente e inarrestabile squilibrio, da una parte, tra la Germania insieme ai paesi a essa piú prossimi, come l’Austria, la Svizzera, quelli scandinavi, l’Olanda – anche qualora non parte dell’Ue-Uem, ma che scambiano principalmente tra loro base monetaria, beni e servizi –, e, dall’altra, l’Italia e tutti i paesi mediterranei, dove siamo di fronte a un insostenibile livello di disoccupazione, abbondantemente a doppia cifra (l’ultimo dato Istat sulla disoccupazione italiana nel primo trimestre 2014 è pari al 13,6%, con una drammatica disoccupazione giovanile intorno al 50%) – e senza contare l’ampia sottoccupazione e la strabordante inoccupazione –, a cui si aggiunge un galoppante calo della produzione industriale (in Italia -25% negli ultimi 5-6 anni, dall’inizio della crisi), un’inarrestabile deindustrializzazione e dismissione di assets strategici o comunque di primaria importanza (Piombino-siderurgia, prossimanente Taranto, ulteriori privatizzazioni e vendita ai grandi player mondiali di pacchetti azionari di ciò che rimane delle grandi società di Stato o para-Stato, come Eni, Enel, Finmeccanica, Poste, Telecom …), insomma l’ulteriore indebolimento del già debole assetto industriale e strategico. E ciò proprio quando, nell’impoverimento complessivo del paese, sia in confronto dei partner e concorrenti europei e mondiali, sia in termini assoluti – negli ultimi cinque anni l’Italia ha perso oltre un milione di posti di lavoro, ha avuto una perdita di produzione industrile del 25%, ha mantenuto un costante deficit della bilancia dei pagamenti (quest’ultimo a causa della scomparsa di una larga fetta di base monetaria, tedesca e nordica, fuoriuscita dall’Italia per tornare nel Nord Europa e altrove, e della progressiva perdita competitiva del nostro apparato industriale, di ricerca e strategico in generale, rispetto ai paesi del Nord e Centro Europa) –, ebbene, ci sarebbe stato bisogno di cominciare a invertire le politiche monetarie ed economiche a favore di un nuovo e intelligente intervento pubblico dello Stato nell’economia, preliminarmente, inoltre, a difesa degi interessi sociali, nonché nazionali, del paese.

Date queste premesse – indiscutibili, vieppiú aggravatesi con il passare del tempo e il cui trend negativo è tuttora in pieno essere –, bisogna dire chiaramente che tali dati di fatto non sono stati “letti”, se non sono stati addirittura rimossi, dal “grosso” del voto italiano per il parlamento europeo. Voto in cui è stata rinnovata la fiducia allo stesso blocco di partiti – in realtà, si può a buon diritto dire: partito unico –, con la medesima visione di fondo dell’Europa e delle politiche economiche e monetarie, praticate e in atto, se si eccettua qualche accento diverso piú o meno riformista (ma di che cosa?) oppure conservatore (di quello che c’è?), che non intacca minimamente il nodo di quest’“accrocchio” di Europa, sbagliato e dannoso, che sta facendo precipitare il nostro paese in un baratro, di democrazia perfino formale, e di crescente povertà – baratro che, a questo punto, non è esagerato definire imminente.

 

Il M5S è stato ridimensionato, perché, evidentemente, a épavé les bourgeois, impaurendo comparti dell’elettorato con le sue proposte di rottura (anche se piú apparente che sostanziale) con gli equilibri europei, mentre, invece e in realtà, risultava confuso sulle scelte da intraprendere e sui cui battersi con tutte le forze; ma, forse, ancor di piú a causa della sua prospettiva della “rivoluzione” politica e istituzionale da praticare in Italia (si pensi un po’: ha colpito negativamente l’idea di rilanciare la Costituzione e gli equilibri da questa previsti), in generale e in particolare contro Renzi e Napolitano – quest’ultimo il vero garante di quello che si può ben definire “equilibrio depressivo”, da tre anni e piú a questa parte. Cosí, nella testa dei molti, troppi, benpensanti, è scattato il «riflesso di Pavlov» del voto “rassicurante” – verso colui che, appena nominato presidente del Consiglio, si è immediatamente recato a Berlino a confermare tutta la fedeltà del caso all’imperatore continentale, frau Merkel, circa la continuità delle politiche dei suoi predecessori, con tanto di osservanza di fiscal compact, pareggio di bilancio costituzionalizzato, e tutti i «Trattati» e gli accordi nefasti, imposti all’Italia e ai paesi mediterranei nell’ultimo lustro.

Questa è l’Europa delle grandi asimmetrie e delle ingiustizie crescenti, arrivata ormai a diventare insostenibile: è la negazione del costituzionalismo democratico e sociale del secondo dopoguerra del Novecento, e perfino della stessa democrazia liberale. È l’Europa concepita dalla tecnocrazia mitterandiana come argine della Germania, fallendo nel suo fine rispetto alla stessa Francia, mentre, in realtà, quest’Europa si rivelava subito, e ancor piú via via, per quello che già era, e tanto piú si è oggi dimostrata come tale: l’antitesi della nostra Costituzione del 1947 e della sua idea alta di democrazia, rappresentativa e diretta, sociale e con un’«economia mista», con al suo interno una forte e intelligente presenza pubblica (in base alla lezione della storia e delle altre grandi crisi capitalistiche di fine XIX secolo e delle guerre mondiali, che queste contribuírono a innescare), Costituzione che, proprio adesso, dovrebbe tornare il nostro faro per essere attuata integralmente, specie nel suo Titolo III, relativo ai rapporti economici (programmazione e pianificazione economica, nazionalizzazioni, socializzazioni).

 

In recenti due recenti saggi sullo stato dell’Europa comunitaria e dell’Italia, due intellettuali come Noam Chomsky e Perry Anderson hanno parlato, rispettivamente, di fine della democrazia e di disastro dell’Europa, all’interno del quale è da inserire, come concentrato di tutte le peggiori deviazioni, il disastro italiano.

Penso che questa diagnosi rappresenti bene lo stato del nostro paese e di quella cristallizzazione di poteri oligarchici che, con non poca retorica, continuiamo a chiamare Europa. Il che impegna a condurre la massima opposizione e le maggiori iniziative politiche possibili, nel seguito dell’acuirsi delle contraddizioni inevitabili, che ritornano subito allo scoperto e si ripropongono piú gravi – facendo passare presto il clamore mediatico su Renzi e il suo Pd, e mostrandone effimero il successo.

ROBERTO PASSINI

(Il Ponte, Anno LXX, n.6, giugno 2014).

image_pdfimage_print