PER UNA NUOVA RESISTENZA SOCIALISTA
«Il Ponte» si è sempre collocato dalla parte del socialismo, il socialismo che ha come stella polare la socializzazione (dei mezzi di produzione, della cultura e dei saperi, dell’economia, dell’ambiente) e la libertà, ossia «la libertà nel socialismo» – il che non si è mai realizzato, né nei paesi del «socialismo reale» (socialismo di Stato, senza libertà), né nelle socialdemocrazie occidentali (libertà liberale, senza socialismo), tuttavia nella consapevolezza di come in alcuni di questi paesi, nel secolo scorso, si sia inverata una serie di diritti – di libertà, sociali e del lavoro – quali l’umanità non aveva mai prima conosciuto. Ma nell’ultimo venticinquennio, post ’89, è cominciata un’altra storia. La portata di quegli avvenimenti, “a caldo” e per molti anni seguenti, ha inibito ai piú di vedere ciò che stava veramente avvenendo.
La gigantesca ristrutturazione capitalistica, tuttora in atto, la ri-dislocazione del potere intra ed extra statuale, il venir meno delle vecchie sfere di influenza a livello mondiale hanno catapultato il pianeta sotto l’egida dell’unica ideologia sopravvissuta all’89: il capitalismo nord-americano. Però quest’ultimo, già socialmente ed economicamente in crisi a partire dagli anni settanta del Novecento, non ha saputo reggere la sfida ed esercitare a livello mondiale una vera egemonia proporzionata alla sua forza militare – questo al cospetto del coro di narrazioni, zelanti, dei media asserviti, in ogni angolo del mondo, Italia compresa, che ne davano tutt’altra rappresentazione («fine della storia», vittoria del liberalismo e della democrazia, e cosí via).
Nell’estate del 2007, con la crisi dei mutui subprime, ma soprattutto con il settembre 2008 e il fallimento di «Lehman Brothers», esito circoscritto rispetto al temuto crollo (concetto in auge, circa un secolo fa, nel marxismo internazionale) dell’intero sistema finanziario di Wall Street, grazie alla reazione keynesiana dell’Amministrazione Usa (Tesoro e Federal Reserve), siamo entrati in un’altra fase, in un nuovo vecchio regime, che non esitiamo a definire «fine della democrazia» o «ritorno dell’autocrazia» (finanziaria). La crisi, esplosa negli Usa, è poi velocemente passata dal “centro dell’impero” alla vecchia e subalterna Europa dei Trattati (di libero scambio, concorrenza, azzeramento delle prerogative statali in favore del privato e del privatismo), con la sola apparente eccezione, molto significativa, di conferire a questi Stati, a questo punto veri e propri sub-dominanti, un’accresciuta potenza nel campo della repressione interna del dissenso e del conflitto sociale, che si affianca al rilancio del loro ruolo (e apparati) in campo militare.
Dal 1991, a partire dalla prima guerra del Golfo, tutti o quasi i paesi europei sono stati progressivamente impegnati, finanziariamente e sul campo, in teatri di guerra a livello mondiale, ben oltre i confini europei e atlantici, nelle molte guerre Usa, dichiarate o meno: Jugoslavia, Afghanistan, Iraq (rispettivamente del 1995-1999, 2001-2003), Libia (2011), Siria (tuttora in corso), crisi della Georgia (2008), fino alla guerra in atto al fianco delle milizie neonaziste in Ucraina, alle porte della Russia. Questi fatti dimostrano in primis la totale subalternità europea, come e piú di prima, agli Usa, che esigono un sempre maggiore sforzo finanziario europeo per le loro guerre; l’altro aspetto è il conclamato superamento della stessa struttura originaria Nato, sorta «a scopi difensivi», e atlantici, nel 1949, trasformata a partire dagli anni novanta del secolo scorso in coalizione offensiva, su scala planetaria, a tutela degli interessi Usa e “occidentali”. Questo basta e avanza per cestinare come ciarpame o insensati slogan certi refrain di europeisti “alle vongole” – la quasi totalità, purtroppo -, che benedicono ogni azione di guerra, anche la piú atroce, come «operazione di polizia internazionale» per «ristabilire la democrazia», cosí come, religiosamente, ritengono ineluttabile ogni limitazione e svuotamento della nostra sovranità nazionale e della nostra democrazia in favore di quel simulacro di Europa di Bruxelles-Lussemburgo-Francoforte e della Troika(a partire dal governo Monti, 2011, ma poi in accelerata crescita).
Questo mostro multiforme, che convenzionalmente viene denominato «capitalismo neoliberale», negli anni ha progressivamente svuotato, ovunque abbia potuto attuare i suoi dettami, come in Europa oggi, in America latina ieri, ogni politica di compromesso novecentesco, liberal-democratico e socialdemocratico, ma non ha ancora incontrato, su scala europea e occidentale, i suoi nuovi oppositori. Costoro, su scala internazionale, si chiamano islamismo – nel Vicino Oriente, in parte dell’Oriente e dell’Africa – e c’è poi la Cina, da sola e come parte dei Brics – un insieme di paesi, a partire dal Brasile, la Russia, l’India, e appunto la Cina, la Repubblica Sudafricana -, nella cui sfera di influenza si trovano vari altri paesi tra i quali l’Argentina, il Venezuela, Cuba, il cui minimo comune denominatore è dato da un’economia nazionale forte e una moneta, entrambe sotto il controllo statale, e istituzioni politiche popolar-nazionali.
L’assenza di un antagonista interno al capitalismo, in Europa e nell’Occidente tutto, è il vero grande problema dei nostri tempi, quando viene distrutta e continua a venire demolita la democrazia novecentesca e costituzionale, e con essa gli Stati, di diritto, sociali e costituzionali, che l’avevano accolta, pur con non facili compromessi al loro interno, ma con tutto l’impianto e cornice di diritti, di libertà, politici, sociali e del lavoro, ottenuti sotto la spinta emancipatrice e la lotta secolare delle forze del movimento operaio (socialdemocratico, socialista, comunista).
Riteniamo, dunque, che da qui si debba ripartire, dai valori e dai principi del socialismo – nella sua accezione piú ampia di alternativa al capitalismo – per ripensare un altro tipo di società, di democrazia, di libertà, di cultura e di economia. Senza la pretesa di indicare vie organizzative e politiche di corto respiro, bensí quella – se vogliamo piú ardua e ambiziosa – di contribuire a indicare un nuovo inizio, culturale, politico ed economico, che, a partire dalla critica del capitalismo contemporaneo, dell’eurozona e dell’Italia “commissariata” dalla Troika, possa contribuire al contempo, in un orizzonte socialista e democratico-sociale, in senso conforme alla lettura piú conseguente della nostra Costituzione, a delineare alcune scelte strategiche fondate su analisi politiche ed economiche centrali, necessarie alla riconquista di nuovi spazi di sovranità e democrazia sociale per il nostro paese e per tutti quei paesi europei che, come noi e piú di noi – si pensi ai vicini paesi mediterranei – stanno sprofondando in una miseria che non si vedeva da un secolo a questa parte, con tutto il corollario di atrocità che ciò comporta (aumento esponenziale della disoccupazione, riduzione drastica della remunerazione del lavoro, abbandono scolastico, malattie croniche, malnutrizione infantile, mortalità infantile).
Un ulteriore e colpevole ritardo nell’affrontare questi nodi (come l’uscita o il congelamento, e con quali modalità e condizioni, rispetto all’eurozona, e con quali politiche monetarie, economiche e fiscali connesse) rischierebbe seriamente di consegnare il nostro paese, come altri a noi vicini (vedi la Francia), nelle mani delle destre nazionaliste e neofasciste, le cui parole d’ordine contro quest’Europa appaiono tanto chiare e forti, quanto vago e indistinto è l’effettivo segno delle loro scelte politiche ed economiche.
La storia delle crisi del capitalismo, da quella del 1929-33 e sino agli anni settanta del Novecento e ai nostri giorni, sta ad ammonirci dell’immane pericolosità, aggiuntiva, che vede reazione e guerra saldarsi con tanta facilità alla confusione politica, alla miseria e alla disperazione. Allo stesso tempo rifiutiamo ogni forma di lotta politica di stampo religioso o pseudo-religioso, propria di altre parti e culture del mondo, in Africa come in Oriente, in parte giunta anche in Europa, il cui sviluppo impetuoso non può non suscitare timore, anche perché non è affatto slegato dalle vicende politiche dell’imperialismo capitalistico Usa e occidentale e dall’assenza del suo naturale antagonista.
«Il Ponte» e HyPerpolis, condividendo il progetto «Per una nuova Resistenza Socialista. Per uscire dalla crisi dell’eurozona e dal capitalismo in crisi», presenteranno nell’anno (e già in questo numero compare in «Agenda economica» l’articolo Uscire dalla depressione con l’emissione di moneta statale a circolazione interna) una serie di interventidi intellettuali, politici, giuristi, economisti, storici, sociologi e filosofi, per un apporto concreto allo studio del problema.
ROBERTO PASSINI
( in Il Ponte, Anno LXXI, n.1, gennaio 2015)